Catalogo, in lingua italiana, a cura di M. Bologna, della Mostra alla Galleria "Campaiola" di Roma
nel novembre-dicembre 1989, ed. Galleria "Campaiola".



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Testo critico del catalogo


MARIO BOLOGNA


      Vincenzo Balsamo estrae dal suo, ormai lungo, "esercizio virtuoso" un ermetismo di cromia suntuosa o virata al monocromo e lo introduce con un silenzio dei titoli che addita l'area del senso ma invita nello stesso tempo a perlustrare previamente le mura della "città di rame", perché solo il periplo d'attesa può creare un varco. Il quadro di riferimento più ampio è quell'esito della cultura figurativa del Novecento in cui le querelles tra naturalismo e astrazione, tra permanenza e fuoriscita dal sistema pittura decadono in una sintesi o in un sincretismo che trovano una delle possibili formulazioni e versioni nella mediatrice e perentoria similitudine di Klee: l'arte è come l'al- bero, che si radica nella terra ma produce frutti diversi dalla terra.

     Al di là dell'impression e del mosaico di echi che vi si fonde compandiariamente, si isola un altro indizio, ed è il linearismo con cui Balsamo sposta nella banda del perspicuo l'autografia dell'immagine e che va a connotarsi nella storia della linea, lungo il percorso che dall'Oriente di Utamaro e Hokusai ha portato questo vocabolo di pura invenzione, e tuttavia infinito generatore di forme, a Gauguin, a Klimt, a Beardsley e attraverso tali importatori e interpreti nell'arte contemporanea, che con la sua estetica dell'inventario l'ha estrapolato dal contesto oggettuale e cromatico conferendogli il diritto vertignoso dell'assolo.

     Le due coordinate, se non la chiave del senso, svelano il senso del processo ideativo di Balsamo; che si origina dal Klee di ritorno dall'Egitto dalle memorie di calligrafie fantastiche e di ornati islamici che ne riporta, e si sviluppa per deviazioni che altri echi culturali imprimono di conserva con altre insorgenze psicologiche. Nella textures di "Ad Parnassum", nell'intrico prospettico della "Strada principale e strade secondarie", nei paesaggi con case e alberi sunteggiati la linea di Klee affiora dalla terra, sotto l'epidermide fenomenologica abrasa, e segna le fibre, la trama del substrato, le forme archetipiche che il disegno infantile, nel suo perspicace inganno, presagisce. La linea di Balsamo tende anch'essa alla sintesi astrattiva delle forme, ma non la programma, non la pone all'inizio: inizialmente è inconsapevole, come presa da un'energia lenta, da un moto inerziale ed erratico. Non incide; non riga: sorvola: il fondo è solo un pianeta che assicura l'orientamento, un teatro di evoluzioni che non influenza. Senza perciò trasfigurare in pura e immota spazialità: Balsamo ha concepito una superficie dove le tele vergini, le iute, le canape e le garze di Klee traslitterano in tessuto pittorico, il divisionismo e la "semina di punti" di colore trasmodano in finissimi orditi cromatici che richiamano l'esattezza e la proziosità di retini sovrapposti.

     È un fondo che non contempla valori impressionistici: irretiti dalla regolarità della tramatura, contrasti e variazioni di tono più che stimoli visivi e mutevolezza atmosferica generano una luminosità diffusa, emessa, si direbbe, da una combustione quieta e uniforme; una luminosità che non si riverbera, non intuisce un rapporto di interazione col piano disegnativo. Al passaggio della linea il tessuto cromatico sembra scandirsi in zone e a volte trascolora fino alla fosforescenza, come seguendo un chiaroscuro di temperature. In realtà la superficie resta al di qua d'ogni dinamica e declina la vita stilizzata d'un simbolo. Anche quando la linea chiude delle forme e ritaglia zone di colore in contrasto, non va registrato un evento sul fondo: quelle forme si stampano su di esso come ombre di eventi che si compiano in alto. La modulazioni e le partizioni della superficie, a ben vedere, nascono da un sentimento edonistico del colore esaltato dal virtuosismo tecnico; costituiscono una "calligrafia" cromatica parallela alla calligrafia disegnativa. Comincia qui a delinearsi la chiave di lettura di queste tavole arcane. Balsamo sfugge al suo modello, alla pittura conoscitiva e cerca se stesso nella pittura psicologica; sperimentando una prospezione della realtà, rifluisce nel riflesso che essa proietta nell'interiorità desiderante e magica.

     Al confine di quel soggettivismo che ha identificato e immesso l'arte moderna nella traiettoria della dissoluzione, Balsamo riconosce l'imprescindibilità della dialettica tra istinto e regola, analisi e sintesi della forma, natura naturante e natura naturata. Come nel colore resta, in ultima analisi, classico, se si pensa alla distanza che lo divide dalle tache; così nella declinazione grafica si sottrae alla gestualità impregiudicata, al suo effetto poeticamente riduttivo e all'incombente sbocco nei grafismi allucinati di Michaux. La linea - in cui si riflette compiutamente la poetica. Arieggia una melodia modulata su una polifonia cromatica di fondo, ma svolgendosi supera la valenza psicologica. Di fronte all'infinito, al "cattivo infinito" hegeliano, della linea divagante e inarrestabile, Balsamo sperimenta che la sola via d'uscita è il ritorno al finito, e ritrova le forme in formazione di Mirò e le forme semplici e i simboli e i segnali di Klee: figure aurorali o superstiti che reinterpreta su uno sfondo proprio, individuale nella memoria; in una memoria decantata, spedita al di là delle emozioni come quella fissata sui tappeti e sugli obelischi.

     Balsamo, infine, illumina un luogo della mente in cui l'oggetto, il temibile Nicht Ich, e il molteplice moto della vita pervengono in forme che suscitano una visione prospettica imperturbata. Questo luogo è la pittura, intesa come costruzione autoriflessa che sottomette il reale alla logica della linea e del colore in modo da inoltrarlo in una dimensione estetico-formale che lo esponga a una percezione più alta: il tempo, ridotto a freccia del tempo incoccata alla confluenza di due calligrammi ascendenti, viene neutralizzato e, perciò stesso, percepito filosoficamente. È un'ipotesi che forza antiche antinomie, ma che adombra qui una sua plausibilità. Del resto, Broch ritiene che il pensiero segua schemi spaziali; e Kandinskij insegna (al Bauhaus) che le radici dei sistemi numerici si incontrano con le radici delle forme artistiche. Intendo dire che il pensiero pittorico che pensa se stesso, polarizzato dalla dinamica delle linee e dalla chimica del colore, può produrre ugualmente forme significanti; e che l'aver saggiato tale ellissi è un tratto di Balsamo che impegna il giudizio, insieme con la tensione qualitativa da inserire nelle cronache attuali come un sommesso "rappel à l'ordre".

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