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Questa monografia, di 216 pagine edita nel 1992, raccoglie una serie di testi critici che si sono via via redatti
negli anni precedenti. I testi sono stati riportati seguendo l'esatto ordine cronologico di stampa, puoi leggerli
scegliendo il Critico che t' interessa maggiormente.
Renato Torti
Enrico Crispolti
Francesco Boni
Gigi Montini
Enrico Contardi-Rhodio
Giovanni Omiccioli
Angelo Zizzari
Sergio Rossi
Enzo Di Martino
Marcello Venturoli
Michele Calabrese
RENATO TORTI Lettera ad un amico
Caro Enzo,
l' occasione della tua mostra antologica, sottolineata da una monografia che testimonia la
tua lunga carriera di artista scritta da uno dei nostri maggiori critici, mi ripropone la nostalgia di
memorie lontane, sempre presenti.
Ci conoscemmo per caso nella metà degli anni '50 da Brandi, il corniciaio-artigiano di Trastevere, a
cui avevamo portato i nostri quadri. Eri poco più che un ragazzo, appena arrivato a Roma dalla natia
Brindisi ed avevi già conquistato - allora era semplice, era possibile - un luminoso studio che si
affacciava sui platani di Lungotevere degli Artigiani. E proprio passeggiando lungo il Tevere, noi che
eravamo giovani - io un po' meno di te - squattrinati ma ricchi di sogni, facemmo i primi incontri
importanti della vita: Renzo Vespignani, Antonio Vangelli, Ugo Attardi... che come noi, in cerca di
ispirazione tiravano la sera. Era il tempo di un' Italia ingenua, con ancora le ferite del dopoguerra, ma
già ricca di esplosivi fermenti culturali, della pittura "en plain air" nella periferia romana. Da quelle
passeggiate scaturivano i suggerimenti per paesaggi che sono entrati nella storia della pittura
italiana. E che prima quindi erano stati "paesaggi dell' anima": il gasometro, i ponti sul fiume, i tralicci
della Purfina...
Cominciarono gli anni '60 e Trastevere, così autentica, così incontaminata, divenne la Montparnasse
romana, infinitamente preferibile alla convenzionale, patinata eleganza di via Margutta e via del
Babuino che attiravano la curiosità dei turisti stranieri. La "vera Roma" si rifugiò lì, gli artisti la
scelsero come la loro cittadella, trasformandone le strade in una sorta di "festa mobile" di pulsioni
creative e di emozioni cromatiche.
Un ragazzo dal folle, spericolato talento, Angelo Zizzari, dopo un breve apprendistato da Brandi, aprì
senza una lira, in piazza Gioachino Belli la "bottega", quella che orgogliosamente definimmo la prima
galleria d' arte del quartiere, ma che più verosimilmente era un laboratorio di cornici (per
sopravvivere) e che rese noi artisti - tutti clamorosamente poveri - felici per aver finalmente un chiodo
pubblico a cui appendere i nostri quadri.
Angelo era un "notturno" e lentamente la bottega - come facilmente avviene in anni creativi e senza
pretese - divenne, il polo d' aggregazione non solo di artisti, ma di quella disparata, straordinaria
umanità - cocomerari, carrettieri, trattori, sfaccendati, ladri, puttane... che costituiva l' autentica
romanità. Lì si giocava a carte, si beveva vino, si "faceva l' arte".
Che anni dolci, romantici, bizzarri! Al calar della sera arrivavano Luigi Bartolini, Carlo Levi, Ugo
Moretti, Mario Russo, Sante Monachesi, Toto Vangelli, Pier Paolo Pasolini che lì captò tante intuizioni
per memorabili pagine sulla disperata umanità periferica: così come Sandro Penna che, guardando il
"vespasiano" sul marciapiede di fronte, compose la celeberrima poesia "proibita": "esce dal
pisciatoio il bel ragazzo...". E poi il grande Mario Mafai che, discutendo con noi, decise per interludio
ai suoi roventi paesaggi e fiori secchi, la fascinosa serie dei "prostiboli", di decadente splendore. A
proposito di quei mirabili "prostiboli", come dimenticare la mostra che lui allestì alla Bottega e che
oggi sarebbe impossibile riproporre non solo per la qualitativa compiutezza, ma anche per i costi
colossali? Ebbene Angelo Zizzari, che avrebbe dovuto sorvegliarla, se ne andò dietro a una donna e
la galleria rimase così aperta con i suoi tesori, protetta solo dall' affettuosa ma casuale attenzione dei
vicini. Era il nostro modo di essere giovani. E liberi. "Apprendisti stregoni" - io, tu, Giuseppe Bartolini,
Carlo Quattrucci, Gilberto Filibeck, Enzo Tilia, Rodolfo Guglielmi, Salvatore Provino, i fratelli Antoci... -
assistevano incantati alle mostre che si succedevano nella Bottega e alla quotidiane discussioni dei
"maestri". Che spesso si tarducevano in scoppi d' ira, liti così violente da sembrare fratture insanabili
ma che il giorno dopo, immancabilmente si ricomponevano come non fossero mai avvenute,
straordinarie - per noi - lezioni d' arte e di vita.
Il passare degli anni e il denaro più facile involgarì la società e quel mondo e imborghesì le idee. L'ingenua Boheme
romana si dissolse e gli amici si separarono. Qualcuno fece in tempo a incontrare il
successo in vita. Per altri arrivò troppo tardi. Ma la memoria storica dimostrò che ciascuno di loro ha
costituito una presenza fondamentale nel panorama culturale italiano di questo secolo.
Ora tocca a te. E il successo per uno che possiede questo bagaglio di esperienza di vita e di tenace
dedizione all' arte è forse il fattore più trascurabile.
Che altro posso aggiungere? Ricordati che i miei auguri questa volta - come sempre - hanno
qualcosa in più: trantacinque ininterrotti anni di fiducia, di complicità, di affetto.
Genzano di Roma, agosto 1992, RENATO TORTI
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Enrico Crispolti
MONITORAGGI DI FISIOLOGIA FANTASTICA
Ha certamente ragione Enzo Di Martino annotando, un paio di anni fa: "Il 'progetto espressivo' di
Balsamo non è quello di fissare immagini statiche sulla superficie del quadro ma piuttosto di
rincorrere le 'linee formanti' di immagini che in realtà si intrecciano e si frantumano continuamente, in
un processo aperto e mai concluso". E tuttavia quel rincorrere ha luogo sempre rigorosamente su una
dimensione pur elastica comunque di superficie, quasi fosse uno schermo rivelatorio sul quale l'intrecciarsi e frantumarsi di forme si configuri, si direbbe si monitorizzi, nella sua evidenza
di costruzione pittorica segnico-formale in condizione di sostanziale motilità.
Da metà degli anni Ottanta i dipinti di Balsamo si propongono infatti un' impostazione costante. Sulla
superficie, appunto come elastica ma di fatto invalicabile nella sua orditura di trama segnica che la
costituisce formalmente, cromaticamente, quale dimensione appunto di frontalità, e valicabile se mai
soltanto come indotto sviluppo di spazialità mentalmente immaginabile più che visualmente
appercepibile, si manifesta un mobile, danzante, intreccio o meglio incastro di sagome formali,
segnate soprattutto dal loro profilo lineare snodato, curvilineo, che tuttavia s' esalta a volte in
puntualizzazioni d' accenno evocativo simbolico primario, peraltro determinanti del senso d'immagine che tale
intreccio e incastro di sagome inesorabilmente assume. Questo non espanso
ubiquitariamente sull' intera superficie ma morbidamente orientato verso una centralità d' evento
segnicamente e formalmente quanto luminosamente e cromaticamente protagonista del campo
scenico offerto dalla trama questa sì tissularmente uniforme della superficie stessa.
Che è a sua volta dunque istituita non come fondo compatto, quanto appunto come minuziosa trama
segnico-cromatica ortogonale, capace do offrire all' impianto stesso dell' immagine protagonista l'intonazione
coloristica di base, nel suo schiarirsi, incupirsi, o affocarsi, d' altra parte offrendosi anche
come corpo interno alle sagome formali graficamente definite nei loro mutevoli profili. E soprattutto
istituendo attraverso la qualità cromatica dei segni una luminosità endogena che la variabile, per
quanto appunto di volta in volta piuttosto univocamente intonata, qualità cromatica dell' intreccio
ortogonale esalta e trasmette dunque alle sagome formali alle quali offre appunto il tessuto di intera
consistenza.
Una tale tipologia d' impostazione costituisce il dipinto di Balsamo quale proposizione d' esiti
possibili d' un medesimo costante processo aggregativo tuttavia sostanzialmente aperto e
continuamente riformulato, pur su di fatto analoghe mirate prospettive d' itinerario. Offrendocelo
dunque quale luogo d' immagine frontalmente formalizzata, di ammiccante cadenza d' analogia
disinvoltamente organica, ed esattamente d' un possibile spazio di memoria, maggiormente collettiva
nelle sue accennate allusioni, che non di scavo individuale. Una dimensione di memoria del resto del
tutto decantata, svincolata da ogni puntualizzazione referenziale occasionale e invece sospinta come
in un accenno repertoriale d' archetipi possibili d' una presupposta basica naturalità riattinta
liricamente ma persino anche ludicamente. Senza tuttavia alcuno spostamento primitivistico, ed anzi
attraverso una loro decisa acculturalizzazione fabulistica formale, una loro designazione recitativa
quasi routiniera pur mai spegnendone la freschezza felice dell'a-utentica invenzione evocativa.
In realtà più che uno spazio di memorie Balsamo suggerisce appunto specificamente uno spazio, o
meglio uno schermo di attività di memoria, in quanto ordinata e non imprevedibile manifestazione di
possibile attività lirica evocativa, come processualità fantastica spontanea, naturale, e dunque
continuamente riproposta quale flusso vitale immaginativo di volta in volta in nuove combinazioni
riproponentesi. Spazio o schermo di memoria come campo di manifestazione di recupero e
riproposizione di una antropologicamente necessaria attività immaginativa, di un campo dunque di
attività specificamente poetica, come ricondotta tuttavia al suo principio appunto contro ogni
particolarizzazione referenziale di ulteriore snodo narrativo.
Istituzione si direbbe di un contatto con il flusso inesauribile, ma anche in certo modo per Balsamo
inderogato, dell'e-vocazione fantastica lirica quale attività strutturale antropologicamente vitale. Non
dunque fantasia liberamente evocante, ma quasi si potrebbe ancora dire, evocazione del
fantasticare, tuttavia combinatoriamente mirato ad istituire una sorta di fenomenologia del possibile
fabulistico entro un basico linguaggio segnico di elementare per quanto decantatissima allusività d'in-
treccio eventico (nell' esito individuato d' una motilità d' ingredienti peraltro costanti).
Anche una sorta di oggettivazione formalizzata di qualcosa come un' attività onirica conscia, che
utilizza scenicamente il processo aggregativo e di svolgimento automatico, ma entro un preciso e
inderogato "progetto espressivo" che attesti appunto di un' attività ininterrotta (giacché continuamente
riproposta nei suoi termini costitutivi) dell' immaginare "linee formanti" di combinazione grafico-
formali, la cui prevista imprevedibilità segna appunto come su uno schermo di monitoraggio la
fisiologia ritmica di pulsazione di un' attività immaginativa vitale, necessaria tanto per l' artista quanto
per il fruitore al quale offre tali proposizioni testificanti.
Di qui l' anologia costante d' impostazione dei dipinti di Balsamo, appunto da metà degli anni Ottanta,
si direbbe caparbiamente inseguita e in certo modo garantita, in un repertorio di esiti possibili
prevedibilmente infiniti. Di continua reinvenzione mirata infatti si tratta, e non certo di ripetizione, che
vi sarebbe persino statisticamente improvabile. In effetti Balsamo monitorizza microcospicamente i
processi segnico-formali di una sorta di fisiologia fantastica, ogni volta reiventandone la scenografia
cromatica che ne caratterizza l' intonazione.
Si è parlato di un suo debito verso Klee, non certo comunque letterale, quanto se mai quale basica
opzione introspettiva. Chè anzi sul piano degli spunti segnico-formali le suggestioni appaiono
piuttosto miroiane (e in qualche caso particolare anche dal Kandinskji più maturo). Ma con Klee la
fenomenologia del lavoro pittorico di Balsamo non spartisce comunque l' incondizionatamente
genitico principio formativo, affermando invece piuttosto i diritti di un principio combinatorio formale
elementare, tutto proprio. E tuttavia alla lezione di Mirò credo Balsamo sia debitore per quella
estroversione inscenata di puntualizzazioni segnico-formali d' accenno simbolico caratterizzanti ogni
sua singola proposizione d' immagine. Queste d' altra parte destituite di misteriosità poetica, e
caricare invece d' allusività evocativa di fondamento più naturale che non psichico (Vito Apuleo, in un
testo pure del 1990, si richiama a "il volo della farfalla, il capriccio delle nuvole, il filo che la mano del
bambino regge trepidante seguendo con lo sguardo le evoluzioni dell' aquilone policromo"; e
parallelamente Di Martino a "un volto, un microorganismo, un aquilone").
Quelle "linee formanti" costituiscono sull' intrecciata superficie segnicamente tramata in modo del
tutto regolare e appunto luminosamente attivante come l' endogena potenzialità di un "display", in
questo caso pittorico, di volta in volta una irripetuta fenomenologia di possibili itinerari narrativi
equivalenti alla rivelazione dei moti microprocessuali appunto di una fisiologia immaginativa, ogni
volta virata cromaticamente secondo possibili diverse cadenze d' umore evocativo, gioioso o
riflessivo, e a volte quasi persino drammatico. Non dunque pagine di diario i dipinti di Balsamo, d' un
diario naturalmente accidentale, occasionale, ma direi qualcosa come preordinate esecuzioni
grafico-formali miratamente tuttavia improvvisate, come si potrebbe azzardare in una libera e tuttavia
orientata musicalità da "free.jazz", in un "sound" piuttosto prevedibile ma continuamente diverso e
sorprendente. Che poi quelle "linee formative" intreccino costantemente i loro eventi narrativi in una
sorta di bioformismo mentale, di episodi d' un inesaurito racconto estremizzato in sintesi
immaginativa segnico-formale, fa parte della natura di testata proposizione, da ogni dipinto di
Balsamo assunto, dell' esistenza appunto di una naturalità d' attività fantastica che egli indubbiamente
nel proprio privato ascolto interiore afferra e riafferra, e che tuttavia ordinata iconicamente propone
infatti quale indice d' un possibile spiazzamento immaginativo liricamente gratificante, partecipabile
ugualmente da parte del suo lettore. E nel quale racconto, entro l' intonazione umorale basica
determinata appunto cromaticamente dalla qualità coloristica dell'intreccio segnico di fondo, sviluppa
suggestioni diverse, e non mi sembra necessariamente di riferimento lirico sentimentale evocativo,
quanto di possibili combinazioni allusive (tuttavia anch' esse in certo modo repertoriabili) entro le
quali opera anche spesso una sottile declinazione ironica.
Larghi itinerari di intrecciati profili lineari che, se compenetrano gli accenni formali, sostanzialmente
appunto biomorfici, si puntualizzano dunque in minuziosi episodi di risalto più acuto, che appaiono
decisivi sotto il profilo narrativo. Itinerari che evidentemente Balsamo determina utilizzando
funzionalmente un processo d' automatismo inventivo, non concedendo tuttavia a questo altro
margine che la libertà combinatoria segnico-formale, al fine appunto di una scenicità di proposizione
corale dell' aggregazione dell' immagine, risolta infine nell' addensarsi, s'è detto in decisive occasioni
d' allusività simbolica puntualizzato, dell' intreccio segnico-formale dispiegato. Di qui anche quell'apparenza
di "indicibile autosufficienza" che i dipinti di Balsamo dell' ultimo ormai piuttosto lungo
periodo costantemente e appunto caparbiamente manifestano. E credo abbia ancora ragione Di
Martino ad avvertire: "Paradossalmente dunque, non esiste una possibilità di 'lettura' dell' opera di
Vincenzo Balsamo ma , semmai, la semplice opportunità 'di perdersi nella sua contemplazione'".
Intorno al 1985 la ricerca pittorica di Balsamo è approdata alla strutturazione sulla quale è venuta
assestandosi negli anni sucessivi, e finora: trame disegnate, compenetrazioni di sagome di immagini
evocate. Poco prima l' incontro credo orientativamente decisivo con l' universo segnico-formale
introspettivo di Klee. Vi era approdato attraverso un lavoro più propiamente sulla scomposizione
dialettica di configurazioni formali sufficientemente compatte nella loro impostazione cromatica,
espanse sulla superficie. è avvenuto lungo i primi anni Ottanta, segnatamente sottolineando la
conquista definitiva d' uno spazio di memoria, evocativo, che a sua volta si era cominciato a
configurare nella ricerca di Balsamo alla fine degli anni Settanta (intorno al 1978), per l' esattezza in
una particolare e tutto sommato episodica esperienza di impronte indirette (di corde sopratutto) entro
un tessuto pittorico risolto interamente all' aerografo (senza effettivo rapporto mi sembra con le
esperienze strumentalmente similari di Cagli), ecc., in un' implicita spazialità di riferimento
memoriale.
Se l' esperienza dei primi anni Ottanta, di impaginazione compenetrata di forme a costituire un' immagine
contripeltamente evidente, è venuta ad offrire un archetipo di modalità d' impianto compositivo ai dipinti sucessivi, ove
tuttavia le entità formali si sono graficamente allegerite cedendo inoltre il compito della loro sostanziazione cromatica
appunto alla trama segnico-colorata di base, tuttavia a sua volta un precedente pur remoto ma significativo di una
disponibilità ad identificare la consistenza della superficie pittorica in trama grafica, nella ricerca di Balsamo allora
ancora in fase d' assestamento sperimentale, si è manifestata ancora prima, esattamente in quel lotto di dipinti del
1977 risolti in polverizzazioni microsegniche sull' intera superficie, individuandovi sottili itinerari e grovigli. Sono
esperienze presupposte alla maturazione decisiva del suo lavoro appunto da metà degli anni Ottanta. Premesse anche
remote, e tuttavia significative, l' una per la definizione d' una mentalità d' impianto compositivo dell' immagine, l' altra
per un' attenzione tissulare costitutiva della superficie pittorica stessa.
A proposizioni non-figurative d' altra parte Balsamo era giunto da verso metà degli anni Settanta, costituendo pure
entità formali prevalentemente curvilinee nei loro profili (che intitolava Composizione astratta, numerandole) del tutto
disposte sul piano. Aveva alle spalle una quindicina d' anni di pittura figurativa, alla fine degli anni Cinquanta e inizio
anni Sessanta manifestatasi in modi di qualche richiamo "romano" in un fare corsivo (sopratutto ritratti)
cromaticamente piuttosto rastremato nell' attenzione locale e tuttavia vagamente ancora di cultura tonale. Poi
espressionista in altri ritratti e in paesaggi (alcuni toscani) nei primi anni Sessanta e oltre, fino a squadrate nature
morte, più costruite, cromaticamente risaltanti pur in stesure piuttosto larghe e quasi deliberatamente grezze (intorno al
1967). Quasi "neofauve" ma più costruito, in altri fra il 1968 e '70, mentre nei paesaggi sintetici si affidava più
liberamente alla costruttività del colore (forse con qualche suggestione dell' ultimo Mafai figurativo). All' inizio degli anni
Settanta un impianto mutuato da sintesi postcubiste gli ha fornito l' approdo progettuale sul piano in nature morte (1972
e '73) a zone piatte curvilinearmente contornate, di colore sempre piuttosto grezzo nella stesura, assai acceso.
Offrendo i presupposti alla risoluzione non-figurativa che nel suo lavoro si manifesta appunto nel 1974, confermandosi
l'anno seguente nella proposizione, quasi in termini "concreti", di un impianto formale puro a costituire un' immagine
compatta risaltante sul fondo. Un' immagine costruita attraverso una compenetrazione di elementi formali, in un
cromatismo assai acceso, e tuttavia con qualche inflessione anche di eco tonale.
Ma sono per Balsamo ancora anni di sperimentalismo, e infatti nel 1976 eccolo proporre invece una dispersa
definizione segnico-materica della intera superficie, fino ad alcuni dipinti materici neri indubbiamente molto suggestivi
(intitolati Decomposizioni), ove sono evidenti attenzioni al primo Burri, materico. Superfici materiche uniformemente
nere ove affiora l' inserimento di frammenti oggettuali od ulteriormente materici. Un passaggio qualitativamente
rilevente nel lavoro di Balsamo, anche se piuttosto estraneo nell' ottica di una traettoria che porti alla ricerca recente;
salvo non si voglia comunque salutare un esercizio di possesso appunto dell' intera superficie e una messa in prova del
costellarvi dispersi segni maggiormente significanti. E poi l' anno seguente appunto le polverizzazioni a microsegni
sempre sull' intera superficie, e nel 1978 le sperimentazioni di superfici all' aerografo con impronte indirette, in accenni
di immagini, segni, ecc., e appunto la conquista di una dimensione di memoria. E siamo alle esperienze che nei primi
anni Ottanta costituiscono la traccia della modalità costitutiva combinatoria per intreccio ed incastro, che porta alla
tipologia più nota del lavoro di Balsamo, da metà degli Ottanta, e delle cui originali caratteristiche s'è detto.
Ho incontrato per la prima volta queste sue recenti proposizioni alcuni anni fa sulle pareti di uno stand di ArteRoma.
Richiamato da quell' evidente margine di loro singolarità e autenticità di scrittura pittorica, pur in un impianto
apparentemente di sfida decorativa. Ma leggere decorativamente i testi pittorici di Balsamo equivale non intendere
sostanzialmente il senso di quella loro ineccepibile inventiva varietà d' esperienza, individuata ed irripetuta per entro
una costante modalità presentativa. Da considerare tuttavia questa appunto come la scelta di una tipologia di
controllato e ordinato monitoraggio di manifestazioni irripetute di fisiologia fantastica, sottilmente allusive e
fabulisticamente poetiche. Nè si tratta di varianti d' un medesimo impianto formale, quanto di una caparbia continua
reinvenzione di appunto monitoriati possibili itinerari segnico-iconici di fantasia a suo modo capziosamente evocativa.
Roma, giugno 1992, ENRICO CRISPOLTI
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Francesco Boni
BALSAMO, ESTETICA E POETICA, SUGGESTIVO LINGUAGGIO DI VITA E POESIA
Quasi cinque secoli sono trascorsi da quando Leonardo scrisse: "Esperienza, madre di ogni certezza", al suo tempo
l' illusione della certezza era ancora possibile, oggi, chi ha un minimo di esperienza aristica e crede di conoscere
bene i creatori della cultura ed è soprattutto abituato a meditare su ciò che ha fatto, studiato, pensato o scritto, sa
bene che le scienze e le arti progradiscono solo nella coscienza della propria incertezza. Le grandi filosofie del nostro
tempo (l' Esistenzialismo fino ad Heiddegger, la suola analitica di Oxford, quella di Francoforte), le analisi strutturali,
linguistiche, comonicative, psicologiche, politiche, antrapologiche balbettano. Nelle scienze ogni anno una nuova
ipotesi teorica mette in crisi le meraviglie delle formulazioni precedenti. In fondo i primi incerti e timidi passi dell'a-
stronauta scolpiti nella nostra memoria visiva nel momento della scoperta del nuovo mondo diventano l' immagine
simbolica del nostro io, dell' uomo attuale, alla soglia della nuova epoca che ci apprestiamo a vivere ed è in questo
momento che il nuovo mondo diviene d' incanto meraviglioso perché tutto da scoprire.
Il dipingere, il fare, l' operare di Vincenzo Balsamo si inseriscono perfettamente in questa fase del pensiero, nel
momento in cui trovano ragione di esistere nella coscienza teorica del passato e nella constatazione delle incertezza
del divenire per esplodere in una pittoricità dell' azione che ci esalta nella scoperta di una realtà sempre nuova e
transuente. Le barriere che Pavese amava mettere tra la terra nota e quella da scoprire sono crollate, il presupposto
conosciuto è progressivamente più incerto. Una sola cosa è assolutamente vera, perennemente giovane, sempre
all'avanguardia: l' arte. Un graffito preistorico, un vaso protogeometrico, un affresco egizio, una scultura greca, un
mosaico bizantino, una vetrata di Chartes, le opere di Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Giovanni Bellini,
Raffaello, Tiziano, Rembrandt, Vermeer, Manet, Renoir, Cezanne, Matisse, Picasso, De Chirico, Pollock, Warhol,
Festa, escludo i viventi, hanno una cosa in comune, sono assolutamente vere, sono assolutamente belle, nel senso
che nulla in loro è perfezionabile, nulla in loro è scaduto, mentre le scienze che si presumevano basate sul vero, sul
logico, sul verificabile, vengono continuamente superate. Queste premesse sull' eterna giovinezza dell' arte e sul
progressivo scadimento delle cognizioni scientifiche se ritenute immutabili, mi sono necessarie prima di entrare negli
obiettivi, nei metodi di lavoro e nei risultati ottenuti da un artista come Balsamo, che si inserisce in questo discorso
come punto di arrivo, se interpretatostoricamente, e punto di partenza nella esternazione del dubbio creativo, così
come mi è necessario proporre un' altra premessa che riguarda il rapporto vivissimo in Balsamo tra estetica e
poetica. L' estetica è il discorso sul bello e sull' arte visti dall' esterno, la poetica è il discorso sulle due stesse cose
viste da "dentro"; la prima è dominio dei filosofi e dei critici, la seconda degli artisti; in fondo la prima è uno strumento
di conoscenza, la seconda uno strumento di lavoro. Nella cultura italiana normalmente le estetiche tendono a stabilire
i rapporti dell' arte con la struttura della comunicazione, o includendola o escludendola o, come più spesso accade,
mettendola tra parentisi. Tutte teorie strane e vaghe se confrontate con le teorie scientifiche. In effetti un prodotto
tecnico è sempre il risultato esatto di più teorie scientofiche mentre l' opera d' arte rispetta solo in parte la teoria
poetica che la forma; infatti se la rispecchiasse fedelmente essa scadrebbe ad illustrazione della teoria stessa e
come tale perderebbe la sua validità di opera d' arte
Balsamo è perfettamente cosciente di tutto ciò e citando Gide sostiene giustamente che in arte la soluzione anticipa
il problema, vale a dire che la teoria di un artista, cioè la sua poetica, nasce come riflessione sul nuovo lavoro fatto e
in parte come progretto su quello da fare. Se un artista nel momento in cui si mette al lavoro si "serve" delle "sue"
teorie o di quelle di altri è sicuramente un mediocre, forse un accademico certo nulla più che un illustratore; delle
teorie ne deve tener conto solo in parte, cosciente che l' essenziale verrà attraverso il fare, attraverso il lavoro, da
dentro di lui, dalla sua capacità creativa costante che lo distibgue per questa caratteristica da ogni altra specie di
vivente.
Ecco la ragione per cui Balsamo dipinge, la necessità del fare, la necessità di esprimere se stesso attraverso il
segno con la piena coscienza che ogni teoria è solamente provvisoria, adogmatica, un che in cui credere e da non
credere al tempo stesso. In Balsamo e in tutti noi a questo punto sorge spontanea una domanda, come è possibile
che l' arte permanga valida mentre le poetiche che l' hanno presupposta sono in parte decadute? Quasi nulla delle
teorie proposte da Piero o da Leonardo sopravvive se non in chiave storica, nè molto delle teorie di Kandinskj,
Malevic, Mondrian, Seurat è utilizzabile oggi; nonostante la vasta ed intelligente opera d' insegnamento non un grande
artista si è formata alla scuola di Klee. Questa è l' ennesima dimostrazione che dalla conoscenza teorica al massimo
nasce un manierista, nel migliore dei casi un manierista di genio come Tintoretto che voleva unire la tecnica del
disegno di Michelangelo alla tecnica del colore di Tiziano. In realtà l' arte supera infinitamente qualsiasi forma teorica
e vive del fare, del creare di ogni artista che si proponga con autentica ispirazione e capace di esporre il suo "io"
autonomo attraverso il dominio dello strumento tecnico. In fondo Balsamo è perfettamente cosciente che i soli veri
progressi di un artista, fatta propria la fase dell' ispirazione, sono nella padronanza della tecnica acquisita attraverso il
lavoro, lo studio e soprattutto l' esperienza attiva. Solo in questa fase l' artista acquisisce la più completa libertà,
senza confondere il progresso con la trovata, con il gadget, con il fare una cosa nuova. Spesso si è portati a
confondere "stile" con "originalità". Lo stile è una dura conquista, non elimina il passato ma lo supera, l' originalità può
essere confusa con la moda, non progradisce, varia solamente, spesso è frutto più di una programmazione teorica
che di una intuizione e per questo probabilmente piace molto al mondo del consumo di massa.
Balsamo è pittore e uomo del nostro tempo che queste problematiche ha vissuto sulla sua pelle, le ha fatte proprie
fino alla manifestazione di una coscienza autonoma. Quando si scrive di pittura e quando si propongono come
problematiche questi argomenti, che sono l' essenza di Balsamo pittore, i contenuti proposti possono essere i più
diversificati e giustificati, l' unica affermazione impossibile da sostenere è che la sua espressione d' arte non faccia
"discutere" in quanto propone elementi fondamentali nel dibattito artistico. è certo che la sua pittura sia da
considerare assolutamente "diversa" da quella oggi celebrata dal diffondersi delle mode, dei cenacoli e dei salotti
culturali, ed al tempo stesso, la sua maniera di esprimersi, intensa, viva, straordinariamente densa di sostanze, di
spunti, di intelligenti collegamenti tra il presente ed il passato di tutti noi è totalmente indiscibile dalla coscienza della
nostra sensibilità. Una pittura dunque da un lato autenticamente radicata nel "sentire" il passato pur se derivata,
tramite il filtro di una affilattissima e consumata sensibilità, dalle circostanze più attuali, forse eterne, dell' esistenza.
Ed è proprio per questo che le sue immagini, il suo modo di esporre al tempo stesso spontaneo ed assorto, fresco,
ed insieme meditatissimo di concepirle ed enunciarle sulla tela, fanno "discutere" ed appaiono totalmente "diverse",
forse addirittura "fuori posto" rispetto alla grande maggioranza delle enunciazioni del nostro tempo. La ragione di ciò
sta nel fatto che Balsamo non dipinge per il piacere di piacere nè tanto meno insegue il successo per il successo, la
sua ansia di comunicare e dunque anche le circostanze della sua carriera, il destino pubblico del suo lavoro e delle
sue ricerche, sono affidati ad un diverso rigore, più intimo, geloso e segreto, come del resto è sempre accaduto ed
accade per ogni vero, autentico artista in ogni epoca ed in qualsivoglia cultura. Sono affidati, cioè, proprio alla
consistente sostanza poetica dell' immagine, quel meraviglioso e struggente equilibrio tra manualità ed intuizione, tra
creatività e pienezza del sentimento che distingue l' opera di un illustratore o di un artigiano da quella di un vero
artista. E sono nutriti, inltre, di una densa cultura pittorica, da uno sguardo affettuoso ed attento verso alcuni grandi
maestri del nostro recente passato che Balsamo, artista precocissimo, coltiva da sempre in un rapporto tutt' altro che
libresco o nozionistico con le loro opere. Un rapporto (per carità, ben lontano dal "citazionismo" deliberante di alcuni
vacui riscopritori attuali della pittura) che ha innervato profondamente le sue immagini e la loro crepitante tattilità,
contribuendo a definire il particolarissimo e irripetibile sapore del loro fascino, della loro penetrante capacità di
suggestione. Il miracolo è quello di realizzare un simile sottile, inedito equilibrio senza che mai l' operazione divenga
prevaricante, divenga mera operazione di linguaggio, cioè frutto di un progetto stilistico programmatico, voluto ed
enfatizzato come tale. Al contrario, l' intreccio dei colori e degli spazi, la resa di impressioni luminose e delle loro
connessioni, i ritmi compositivi, i corposi pigmenti scorrono e si definiscono dall' immaginario dell' autore verso la
superficie del dipinto sempre con straordinaria naturalezza, nella compiutezza di un accento ormai maturo e pieno. In
un certo senso si può affermare che il segreto fascino della pittura di Balsamo è proprio qui, nel cuore antico della
sua enunciazione cromatica, in queste sue radici di poetiche e sensibilità ritrovate e restituite a nuova vita sulla base
delle esperienze coloristiche e concettuali del nostro secolo. L' arte per lui non è mai fine a se stessa, non si
esaurisce nel mero estetismo e diviene il frutto palpitante del pensare, del fare, tradotto dall' artista nel segno come
sintesi di un rapporto poetico tra le cose e l' esistenza.
L' arte non ha tempo e luoghi prefissati ma vive in una sua intima "durata" una sua moralità di fondo che si propone
costantemente in superficie e che si riforma in ogni circostanza della realtà umana. Ecco perchè i termini dell'operare
di Balsamo vivono insieme, antichi ed attualissimi, profondamente autonomi ed al tempo stesso parte integrante di
una sedimentazione, di una continuità di un percorso che viene da lontano. Eppure l' attualità vive fortemente nelle sue
"connessioni" anzi, ne costituisce il baricentro, il riferimento permanente d' ispirazione, una realtà non solamente
oggettiva ma che piuttosto è sintesi della nostra vita interiore. Una attualità mentale quasi domestica, quotidiana, la
capacità di tradurre in un diario gli affetti e le emozioni di tutti i giorni, come gli accadimenti minimi che ritmano la vita
dell' autore nel contatto con il mondo che viviamo e che ritroviamo nelle nostre ansie e paure di uomini del nostro
secolo. Ma soprattutto si tratta di un' attualità capace anche, per sua intima virtù poetica, di caricarsi di valenze
a largo respiro metaforico, di echi complessi, di sentimenti generali. Così le stanze e gli oggetti di casa, la famiglia, i
momenti della giornata, i luoghi consueti dell' esistenza divengono un pretesto per riflettere per ripercorrere
autobiograficamente il proprio vissuto e, insieme, si svolgono in tracce di un fare ed espressioni di un esistere
emotivamente consapevole di una complessità universale. Ed ecco che gli affetti e le inquietudini, le memorie, gli
allarmi, i sogni e gli abbandoni che circolano pacatamente tra questi segni e questi colori nella loro tenera e
consapevole concretezza lirica, parlano sempre a chi sappia prestare orecchio non frettoloso un intenso, vibrante,
suggestivo linguaggio di vita e di poesia.
Fiuggi, 2 settembre 1992, FRANCESCO BONI
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